Equo compenso, SIAE, Franceschini ed Apple

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Dario Franceschini
Dario Franceschini, politico del Partito Democratico, che con la SIAE, presieduta da Gino Paoli ha deciso di aumentare le imposte sull'equo compenso sbeffeggiano anche i produttori di hardware

Quando acquisterete il prossimo dispositivo Apple, rivolgete un caro pensiero a Gino Paoli oppure a Dario Franceschini, decidete voi…

E non solo quando acquisterete un iPhone, ma anche un iPad, un iMac, un MacBook o un qualsiasi prodotto della mela.

Notizia di oggi che Apple ha deciso di alzare i prezzi dei propri prodotti in Italia a causa dell’equo compenso.

Quest’ultimo, per chi non lo sapesse, è un balzello che paghiamo allo Stato ogni volta che acquistiamo un prodotto che ha un supporto di memoria. Ciò perché, secondo quei gran geni dei legislatori, il fatto che tu abbia un supporto induce a pensare che tu ci copi dentro file musicali scaricati illegittimamente.

Quindi, secondo i geni italiani che stanno in parlamento, tu che acquisti (anche) un PC per la tua azienda puoi, potenzialmente, scaricare musica gratis e quindi frodare i diritti d’autore e come parziale indennizzo paghi proprio tale balzello.

Promotori di questa legge sono stati nel 2009 la SIAE e Franceschini, il quale proprio il mese scorso, insieme a Gino Paoli, presidente della stessa SIAE, hanno imposto un aumento a tale balzello.

Questa la dichiarazione del politico del PD nel momento dell’aumento del balzello:

Il decreto non prevede alcun incremento automatico dei prezzi di vendita. Peraltro, com’è noto, in larga parte gli smartphone e tablet sono venduti a prezzo fisso

Come per dire: “tranquilli utenti, tanto pagano le aziende”. Proprio per questo probabilmente Apple, che nel 2009 si fece realmente carico della spesa, oggi ha deciso di non farsi prendere in giro e ha aumentato i prezzi.

Facendolo l’ha anche indirettamente dichiarato poiché gli aumenti non sono arrivati in cifra tonda ma con tanto di decimali.

Giusto per fare un esempio, il nuovo iPhone costa 732,38 proprio quei 3,38 euro di equo compenso in più. Come se l’azienda di Cupertino volesse chiarire che l’aumento non è merito suo ma dello Stato.

Franceschini non ci sta e oggi twitta:

Caro Franceschini sbagli ma hai ragione. Sbagli quando dici che in Italia la copia privata costa 4 euro, poiché questo è vero solo per dispositivi da 16GB, mentre su un MacBook stiamo parlando di 32 euro; dici giusto però quando parli di pagamento solo per gli italiani e sai perché? Poiché quella è un’azienda che deve fare utile e magari nel 2009 si sarà fatto carico dell’equo compenso, come in gran parte se ne farà anche ora, ma sicuramente non ama essere presa per i fondelli e con questi aumenti l’ha dimostrato e ha mandato un messaggio chiaro proprio ai politici come te, che oggi hai perso tanti, ma tanti, voti.

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Riprova ne è il fatto che l’ha fatto volontariamente, proprio per far capire che ce l’aveva con questa tassa, il fatto che sui MacBook, dove l’equo compenso è di 32,2 euro, l’aumento è stato di 4,03 euro.

Non 4 né 5, ma 4,03 così che quando in negozio la gente si chiederà perché un mac costi 1.133,03 perché proprio quei 3 centesimi, la risposta sia chiara: “colpa di Franceschini, di Gino Paoli e della SIAE che ha messo una tassa stupida”. Quei 3 centesimi, che ad Apple non cambiano di una virgola i bilanci, sono là proprio per gridare “vergogna”.

Tra le altre cose questa tassa arriva in un momento in cui tutti i produttori chiedono meno carico fiscale proprio per far riprendere i consumi, stagnanti oramai da tanto, anzi troppo, tempo.

Io mi chiedo, e lo chiedo a Gino Paoli, presidente della SIAE, perché non si cambia il modello di guadagno? Se la musica italiana che vogliamo tutelare a tutti i costi è realmente così forte da rubare i soldi degli italiani, se realmente le etichette e i cantanti sono in difficoltà come si dice, perché non decidono di aprirsi al futuro, perché non guadagnano da Vevo e/o da software come Shazam, Spotify, ecc anziché far pagare tasse a chi magari nemmeno ascolta musica?

Qual è la paura di scendere sul Web e mettersi a confronto con gli altri? Se la musica italiana è veramente così forte non potrà che guadagnarci… Se invece, come penso, la musica italiana rappresentata proprio da Paoli, non è all’altezza, su YouTube non la ascolterà nessuno e su Spotify idem, e allora niente guadagni e niente compensi dalla SIAE senza fare nulla… ma a quel punto vi sarete resi conto che la vostra musica fa schifo e vi sarete fatti una ragione. A quel punto vi sarete resi conto che il piccolo cantante, che prova a sfondare, non sarà più tartassato da voi. E magari, su Youtube, con la pubblicità e senza di voi, come successo per esempio a Psy e come succede all’estero, riuscirà a farsi un nome…

Se siete invece veramente forti succederà che ci guadagnerete molto di più. La vostra musica arriverà anche in angoli del mondo dove la SIAE non sanno cosa sia.

Gino, e cari amici della SIAE, tornando a PSY, giusto per fare un esempio, con solo Gangnamstyle, nata e cresciuta su Web, con il solo Youtube, un coreano ha sbancato il mondo e da solo Google, considerando un CPM di 4 euro (ma sono certo sia stato anche più alto), questa canzone gli ha portato almeno 8 milioni di euro.

Succederà mai in Italia ciò? Vedremo mai un cantante italiano protetto (o bistratto, perché poi ci sono figli e figliocci) dalla vostra organizzazione, sfondare nel mondo, attraverso il Web, vendere brani su iTunes e arrivare a fare almeno una decina di milioni con una sola canzone?

Oppure continueremo a vedere cantanti, di altre epoche, mantenuti con i soldi pubblici solo perché negli anni ’70 e ’80 vendevano qualche disco?

PS: magari, se pensate di essere bravi anche come manager, fondate una società come Vevo è gestite direttamente la vostra musica su YouTube, sai mai che ne uscirà una bella azienda italiana, la quale, finalmente, non ruberà soldi ai poveri cittadini.

Ah, Paoli e Francescini, giusto per la cronaca: io ho iPad, iPhone e PC, oltre ad avere vari hard disk in vari dispositivi, ho quindi già pagato l’equo compenso (che poi equo per chi?) ma la musica non la ascolto pirata… la sento da YouTube e da Spotify pagando con una moneta che voi non capirete mai è cioè ascoltando pubblicità. È questo il futuro poiché, magari vi è sfuggito, i supporti fisici stanno scomparendo e con loro, se Dio vuole, anche voi.